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    Le grandi battaglie in semifinale: la Banda Bassotti e il sollievo di Sassari

    L’Olimpia ha giocato la sua prima semifinale per lo scudetto nel 1979. Era l’anno della Banda Bassotti: giocava senza un vero centro con tutte ali. La statura media non era così piccola, ma era una pallacanestro differente in cui tre giocatori molto oltre i due metri erano la norma e l’unico piccolo vero era sempre il playmaker. Era anche il primo anno di Dan Peterson sulla panchina dell’Olimpia. Eliminata la Stella Azzurra di Valerio Bianchini, nei quarti di finale, il Billy doveva sfidare con il fattore campo contro l’Emerson Varese, reduce dalla decima finale consecutiva di Coppa dei Campioni. La prima semifinale non si scorda mai, ma soprattutto non quando si sviluppa come quella del 1979.

    1979, Gara 3: Emerson Varese-Billy Milano 84-87

    A sorpresa, l’Olimpia sbancò Varese in Gara 1 vincendo di dieci ma provocando ovviamente la reazione dei campioni di Varese, che avevano ancora Dino Meneghin, Charlie Yelverton e Bob Morse come stelle. Varese vinse a San Siro Gara 2 riportando la serie in parità. Nessuno pensava che potesse ripetersi il Billy, che potesse vincere due volte a Masnago in pochi giorni. In Gara 1 aveva sfruttato il fattore sorpresa, ma la partita da vincere era quello di Milano, era Gara 2. E invece… Coach Dan Peterson utilizzò i cinque uomini del quintetto per 40 minuti filati. Nessun pentimento. Tutti finirono la partita con quattro falli. D’Antoni playmaker, Sylvester e Kupec come esterni, Gallinari e Ferracini erano i lunghi. La panchina era composta dai due Boselli, Francesco Anchisi, più Paolo Friz e Valentino Battisti. Era una panchina in generale giovane, ma Peterson l’aveva utilizzata tutto l’anno. “Sapevo che uno di loro sarebbe andato in quintetto, ma non potevo eliminare gli altri, dovevo tenerli vivi e lo facemmo per tutto l’anno”, spiega. Ma non successe in Gara 3. No, quel giorno Peterson non fece nemmeno un cambio. Usò i time-out per farli riposare quando serviva. A sei minuti dalla fine aveva tre uomini con quattro falli e due con tre. Gli venne il dubbio di cambiare, ma non lo fece. Spesero due falli in sei minuti, finirono tutti con quattro e vinsero la partita. “Battemmo Varese in Gara 3 con sei canestri dall’angolo di Kupec. Giocava il pick and roll con D’Antoni, eseguiva un taglio a banana e riceveva in angolo. Non sbagliò mai”, racconta Peterson. Kupec segnò 26 punti, Mike Sylvester ne fece 35 annullando i 36 di Morse. Finì 87-84.

    CJ Kupec era una delle colonne della Banda Bassotti

    1986, Gara 2: Berloni Torino- Simac Milano 79-86

    L’Olimpia irresistibile della stagione precedente, quella di Joe Barry Carroll, non esisteva più. Carroll era naturalmente tornato ai Golden State Warriors riprendendo a segnare i suoi 20-21 punti di media. La novità per l’Olimpia si chiamava Cedric Henderson. Aveva lasciato il college dopo un solo anno, ma si era dichiarato per i draft NBA in modo irregolare. Non poteva giocare e venne in Europa. Aveva 19 anni. Dopo poche settimane, venne tagliato. Alla vigilia della stagione l’Olimpia lo riprese con nuove condizioni. Ed Henderson gradualmente diventò un fattore decisivo. Nei playoff fu sensazionale. Ma il Simac che un anno prima aveva passeggiato sulle avversarie si trovò con le spalle al muro nella semifinale con Torino, squadra che a quei tempi arrivava sempre ad un passo dalla finale senza mai conquistarla. L’Auxilium, diretta da Dido Guerrieri, scuola Simmenthal anche lui, era una squadra fortissima. Non aveva più Pino Brumatti e Meo Sacchetti, ma aveva Carlo Della Valle, Giampiero Savio, Renzo Vecchiato, Ricky Morandotti e due americani straordinari, Scott May e Mike Bantom. Di più, Torino vinse al Palalido e per restare viva l’Olimpia doveva vincere al Parco Ruffini. “Il giorno prima ci trovammo in riunione – racconta Peterson – Loro avevano questo centro di riserva, Davide Croce. Parlammo di quando Meneghin sarebbe stato accoppiato a Croce. In spogliatoio, ogni tanto chiamavano Dino “Testa” perché aveva appunto una testa grande. Premier interruppe la riunione e disse “Coach, sta dicendo che in campo potremmo avere Testa contro Croce?”. Tutti a ridere. Riunione finita. Vincemmo la partita e poi lo scudetto”. E Cedric Henderson fu decisivo, con sette punti e 11 rimbalzi; Premier fu il miglior realizzatore con 27 punti, Russ Schoene ne aggiunse 23.

    2010, Gara 5: Pepsi Caserta-Armani Jeans Milano 59-65

    L’Olimpia aveva giocato la finale scudetto l’anno prima ma beneficiando di un tabellone che l’inattesa eliminazione di Roma nei quarti di finale aveva spianato permettendole di incontrare Biella con il vantaggio del campo. Ma nel 2010, alle spalle della corazzata Siena, Caserta con Coach Pino Sacripanti era arrivata ad un livello di competitività molto alto. L’Olimpia realizzò l’impresa di vincere subito in Gara 1, ma poi un missile di Jumaine Jones restituì alla Juve la parità e il vantaggio del fattore campo. In Gara 3 e 4, le due squadre si scambiarono i successi, così si sarebbe deciso tutto in Gara 5 al Palamaggiò. Come spesso accade in questo genere di partite, fisicità, difesa e ritmi bassi presero il sopravvento. La gara diventò una battaglia e tutti i giocatori più attesi la steccarono (Mancinelli segnò due punti; Maciulis tre; Becirovic due). L’Olimpia aveva due punti di vantaggio alla fine del primo periodo, era pari all’intervallo, poi tentò di spaccarla nel terzo periodo quando tenne Caserta ad appena sei punti. In quella partita, Jones si fermò anche lui a tre punti. L’Olimpia entrò nel quarto conclusivo avanti di 12. Caserta andò all’assalto. Più che Ebi Ere, furono due ex, Fabio Di Bella e Andrea Michelori a creare problemi. E nell’Olimpia, oltre a Mike Hall (12 punti e otto rimbalzi) e Morris Finley (13), a decidere la gara fu il cuore enorme di Mason Rocca. In una partita vinta 65-59, il meno attaccante di tutta l’Olimpia segnò 14 punti con 6/8 al tiro e portò giù 11 rimbalzi di cui cinque sotto il tabellone offensivo, quelli che lo fecero diventare determinante. Fu forse la miglior partita di Rocca con l’Olimpia.

    Mason Rocca fu determinante a Caserta nel 2010

    2005, Gara 5: Benetton Treviso-Armani Jeans Milano 57-61

    L’Olimpia non doveva essere protagonista di questa stagione, ma lo diventò un passo alla volta, sotto l’ala di una nuova proprietà e un nuovo coach, Lino Lardo. Dopo aver eliminato Cantù 3-0, era riuscita a rispondere colpo su colpo all’ultima Benetton di Ettore Messina. Perse due volte in trasferta ma vinse due volte in casa per preparare una Gara 5 al Palaverde che avrebbe potuto giocare senza troppa pressione. L’Olimpia precipitò sotto di sette in un brutto primo quarto, ma poi gradualmente salì di tono specie in difesa sorpassando prima dell’intervallo. Fu una partita costellata di errori, in cui Treviso fece 3/24 da tre. La difesa speculativa, tattica, di Lardo venne ripagata. Jerry McCullough, Dante Calabria, Mario Gigena e Sasha Djordjevic, all’ultimo anno di carriera, vibrarono le zampate che le consentirono di imporsi in volata approdando alla finale scudetto contro la Fortitudo.

    2014, Gara 6: Banco di Sardegna Sassari-EA7 Emporio Armani Milano 76-95

    Questa fu una semifinale meno drammatica delle altre, vissuta da favorita, ma con enorme pressione addosso. L’Olimpia aveva vinto 19 partite consecutive per chiudere la regular season. Nettamente prima, ma con il peso del pronostico e un po’ l’obbligo di vincere lo scudetto dopo 18 anni di digiuno. La conseguenza fu un playoff difficile e vincerlo fu quasi un sollievo, come avrebbe poi spiegato Keith Langford. L’Olimpia superò il primo turno battendo Pistoia alla quinta partita. Poi arrivò Sassari, una delle forze emergenti del campionato, con i fratelli Diener. L’Olimpia perse Gara 2, poi andò a vincere due volte di fila a Sassari con un grande Alessandro Gentile. Ma la sera in cui doveva festeggiare l’approdo in finale, a sorpresa, si fece infilzare dalla Dinamo condannandosi a tornare in Sardegna con l’incubo di una nuova bella. Ma quella sera, l’Olimpia giocò la miglior partita dei playoff. Segnò 24 punti nel primo quarto ed era avanti di 21 a metà gara. Langford segnò 24 punti. Gani Lawal fece 8/9 dal campo. Era la quarta finale in cinque anni e sarebbe stata quella dello scudetto.

    Gani Lawal contro Caleb Green nel 2014

    L’articolo Le grandi battaglie in semifinale: la Banda Bassotti e il sollievo di Sassari proviene da Pallacanestro Olimpia Milano.

    Fonte: Ufficio Stampa Olimpia Milano

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