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    Le grandi partite di finale: la stoppata di Gianelli, il tuffo di McAdoo

    Il primo scudetto nell’era dei playoff fu quello della seconda stella. Venne vinto al Palazzone di San Siro, pieno come un uovo, pieno come è ora il Forum per questo genere di partite. L’avversaria era Pesaro, con l’ex Mike Sylvester e il grande Dragan Kicanovic, medaglia d’oro alle Olimpia di Mosca 1980. Era il 1982. Sarebbe stato quello il primo scudetto di Mike D’Antoni e Roberto Premier, il primo a Milano di Dino Meneghin. Ne sarebbero seguiti altri dieci attraverso i playoff e tutti con storie incredibili da raccontare

    1982, Gara 2: Billy Milano-Scavolini Pesaro 73-72

    L’Olimpia vinse due partite su due in finale con uno scarto globale di quattro punti. Vinse di tre a Pesaro la prima partita e di uno a San Siro la seconda. Fu una partita nervosa e rocambolesca. Il coach di Pesaro, Petar Skansi, partì con un quintetto a sorpresa, cambiando la rotazione, dando spazio alle riserve Carboni e Giumbini, oltre che all’ala Ponzoni. Kicanovic invece spese gran parte del primo tempo in panchina. Lo voleva fresco e arrabbiato per quando la partita si sarebbe decisa. E lo fu, ma l’Olimpia aveva Meneghin e Premier, i due grandi colpi del mercato, e un John Gianelli ormai pienamente affermato (19 punti in quella partita). Non fu un grande partita, ma si risolse in un corpo a corpo tremendo. La Scavolini aveva l’ultima opportunità di riprendere il comando e vincere la partita. Ma sull’ultima iniziativa di Sylvester, Gianelli che aveva intelligenza tattica estrema, si fece trovare pronto a respingere la conclusione e salvare partita e scudetto. Fu il primo The Block risolutivo nella storia dell’Olimpia. Lo scudetto precedente era stato vinto dieci anni prima.

    Dragan Kicanovic di Pesaro attacca Mike D’Antoni, ma c’è pronto John Gianelli ad intervenire

    1989, Gara 5: Enichem Livorno-Philips Milano 85-86

    Fu l’ultimo successo della dinastia firmata da Mike D’Antoni. Il quinto scudetto vinto dal trio D’Antoni-Premier-Meneghin, il secondo con il sostegno di Bob McAdoo. Livorno arrivò in finale dopo una stagione eccezionale. Vinse Gara 1, perse in casa Gara 3 ma a sorpresa andò ad espugnare il palasport di Lampugnano nella quarta partita obbligando l’Olimpia a tornare a Livorno per la quinta e decisiva partita. Sarebbe stata una gara epica, contrassegnata dal canestro tardivo di Andrea Forti, dall’invasione di campo cominciata festosamente dai tifosi locali e finita in rissa con Premier solo contro tutti, ma sarebbe stata anche la partita del tuffo di Bob McAdoo. In quel momento, l’Olimpia era avanti 80-72. Ma Livorno rispose con un parziale di 8-0 completato da una tripla di Alberto Tonut, il padre di Stefano. Subito dopo Premier segnò l’ultimo canestro della sua carriera milanese cui Wendell Alexis, che segnò 32 punti, rispose con un missile da due punti, con un piede sull’arco. Mike D’Antoni centrò un’altra tripla, ma Alexis rispose ancora. Sul più uno, Milano andò all’attacco, ma l’ultimo tiro di Premier venne respinto dal ferro e in contropiede Forti ricevette l’assist lungo del capitano livornese Alessandro Fantozzi. Un attimo troppo tardi.

    1987, Gara 3: Tracer Milano-Mobilgirgi Caserta 84-82

    Aveva già vinto la Coppa dei Campioni e la Coppa Italia. Ed era alla sesta finale consecutiva. I suoi giocatori chiave erano tutti oltre i 35 anni. Ma la voglia di vincere è qualcosa che hai o non hai a prescindere dalle circostanze. L’Olimpia si portò sul 2-0 vincendo Gara 1 in casa e strappando in qualche modo Gara 2 al Palamaggiò contro una squadra ormai matura per vincere guidata dal fromboliere brasiliano Oscar Schmidt. Ma il giorno di Gara 3 era semplicemente senza energie dopo una stagione lunga, combattuta su tre fronti. Caserta dominò il primo tempo. Coach Dan Peterson usò la carta della disperazione: Riccardo Pittis, 19 anni. Andò in campo e rovesciò la partita. Abbastanza da non concedere a Caserta la vittoria. Non abbastanza da rimontare. Anche il secondo tempo fu un lungo inseguimento fino all’ultimo minuto. In quella stagione, Ken Barlow aveva segnato esattamente zero canestri da tre in tutto l’anno. A 58 secondi dalla fine, a gioco rotto, non ebbe alternativa. Tirò da tre e fece canestro determinando il primo sorpasso della gara. Un canestro pesantissimo, cancellato pochi attimi dopo da una tripla del bomber casertano Sergio Donadoni e di nuovo da tre tiri liberi ottenuti da Mike D’Antoni per un fallo di Nando Gentile, che poi avrebbe sbagliato, di niente, l’ultimo tentativo.

    Dino Meneghin davanti a Georgi Glouchkov. Alle spalle si vedono Oscar, Sergio Donadoni, Ken Barlow, Vittorio Gallianri e Pietro Generali

    1996, Gara 3: Filodoro Bologna-Stefanel Milano 68-70

    L’Olimpia arrivò in finale partendo dal quinto posto in classifica. Ma arrivò alla finale con la Fortitudo in grandissime condizioni di forma. Sfiorò la vittoria in Gara 1, poi si impose in Gara 2 e tornò a Bologna per strappare “il servizio” all’avversaria, una squadra costruita su una coppia di guardie straordinarie, Sasha Djordjevic e Carlton Myers. Fu una battaglia di 40 minuti, ma sul punteggio di parità l’Olimpia aveva il possesso di palla. Dejan Bodiroga, uno dei giocatori che il proprietario del club Stefanel aveva portato a Milano da Trieste, giocò in isolamento nella sua posizione preferita. Si alzò in sospensione dal gomito e centrò il missile del successo. L’Olimpia chiuse i conti in Gara 4 a Milano, ma la vittoria chiave fu quella.

    1983, Gara 2: Billy Milano-Bancoroma 86-73

    Non è una finale che viene raccontata volentieri perché finì con una sconfitta in Gara 3 a Roma. Una partita giocata in trasferta perché nell’ultimo turno della stagione regolare, la Libertas Livorno si impose a Milano con un canestro da centro campo di Roberto Paleari, ironicamente un prodotto del vivaio Olimpia. Roma, con Valerio Bianchini in panchina e il grande playmaker Larry Wright in campo, vinse le due gare casalinghe, la terza in modo netto. Ma Gara 2 ha un posto anch’essa nella storia dell’Olimpia. Dopo un primo tempo finito in parità, Wright cominciò il proprio show (avrebbe finito con 33 punti) determinando l’allungo di Roma. In quel momento, Coach Peterson optò per una delle marcature passate alla storia del basket italiano, ovvero decise di mettere il 2.08 Vittorio Gallinari sull’1.83 Wright. Mossa rivoluzionaria per quei tempi. “È stata l’unica volta in cui tutti i media mi hanno elogiato definendomi genio per quella mossa – ricorda Peterson – In realtà, avevo già provato a difendere su Wright con tutti gli uomini possibili, D’Antoni, Boselli, Premier. Mi rimaneva solo Gallinari”. La mossa ebbe effetto: Gallinari oscurò Wright, Roma si inceppò, sorpresa. L’Olimpia fece 15-0 di parziale e andò a dominare Gara 2. La mossa venne ripetuta in Gara 3, ma Bianchini si era preparato e non ebbe lo stesso impatto.

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    L’articolo Le grandi partite di finale: la stoppata di Gianelli, il tuffo di McAdoo proviene da Pallacanestro Olimpia Milano.

    Fonte: Ufficio Stampa Olimpia Milano

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